Investire, un gioco di pazienza e non di notizie ed analisi spicciole.

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Non vado spesso al teatro. Da quel poco che ho visto i drammi hanno sempre dei momenti di sollievo, come lucciole di speranza che puntano verso l’uscita del tunnel. Piccoli sprazzi discontinui che tuttavia non riassicurano completamente l’animo dello spettatore.

Quattro mesi fa scrissi Now What? dove parlavo dei miei dubbi sull’efficacia d’iniettare, a quel punto del ciclo di mercato, sempre più stimolo monetario nel sistema finanziario mondiale. Da allora abbiamo avuto infinite variazioni di dati, di stati mentali, di articoli e di commentari; tutta roba che, a parte questioni geopolitiche, non ha intaccato il concetto di base. Fracasso insomma che ci aiuta solo a perderci in leggerezze analitiche mentre l’evento importante resta offuscato nel pandemonio mediatico: siamo arrivati al capolinea di quest’autobus.

Gli Americani si sono oramai distaccati marginalmente dal resto del mondo nella loro politica monetaria, ma viste le condizioni generali dei mercati “a rischio” (titoli di borsa e credito corporate, principalmente, ma anche banche ed alcuni interi paesi) sono sorti molti dubbi sulle loro capacità di tenere la rotta. In quel che seguirà non scordiamoci che l’errore vero fu quello di farci ubriacare, non di gettarci fuori dal bar.

I cinesi, che tutto sommato adesso sappiamo non avevano neppure la bussola giusta (vedi The Meaning of China), invece sono veramente in un bel guaio e le loro opzioni si sono oramai ridotte ad una sola: quella della svalutazione della divisa (interessanti questi commenti del mio amico Paul Marson di Monogram, e di Evergreen/GaveKal). Questa via però rischia di far saltare tante altre cose, nonostante il sex appeal temporaneo di uno Yuan più debole: la più importante è che esportare deflazione al resto del mondo non credo piacerà a molti.

L’Europa va per la sua via, piena di scaramucce politiche non proprio unificatrici, di discorsi e comunicati semi-conciliatori, e di speranze idealistiche che oramai sono quasi dei cliché. Fintanto cioè che qualcosa dall’esterno non l’aiuti a risvegliarsi; la Germania, visto l’andamento della Cina, è già scesa dal letto da parecchio.

L’idea che i grossi problemi si riflettano nei mercati subito o con un crash è fuorviante. Questo può avvenire, certo, ma in genere gli animi cullati e riorientati da sei anni di mercati positivi non si rigirano su sé stessi in un baleno. Come bollicine in una pentola d’acqua sul fornello, gli elementi preoccupanti che si sono affacciati recentemente con più frequenza e intensità sono:

  • le divergenze di performance nei mercati tra vari settori e varie asset class;
  • la continua sopravvalutazione dei mercati;
  • gli indicatori avanzati e contemporanei di attività economica in rallentamento o caduta (a parte i mercati stessi, il calo della produzione industriale e il rallentamento delle vendite USA; OECD leading indicators, andamento materie prime);
  • la costante pressione al ribasso per certe valute di paesi emergenti;
  • la stabilità dei tassi governativi (“beni rifugio”).

E la Cina.

I top dei mercati sono quasi sempre dei processi che si sviluppano nel tempo e con sordida calma, non singoli eventi esplosivi – anche se post mortem tutti sapremo del perché percome e quando.

Photo source: http://www.nataliekirchhoff.com/blog/now-what.