Crisi? Quale crisi?

Mi ricordo con brutale freschezza come, quando i nostri figli erano piccolini, mi dicevo tante volte che certe cose non dovevo farle o non dovevo dirle, ma che avrei comunque avuto tempo per correggere il mio comportamento negli anni successivi.
   Sappiamo con una certa sicurezza che i rendimenti futuri dei mercati azionari sono prevedibili in un’ottica temporale di circa un decennio; la variabile importante è la valutazione: quando questa è più elevata del normale i rendimenti saranno bassi, e vice versa.
   Negli anni ’80, durante l’amministrazione del presidente Reagan, ci fu l’opportunità di modificare il sistema pensionistico statale in modo da consentirgli qualche decade di sopravvivenza in più rispetto a quella che oggi appare una crisi entro i prossimi 25 anni.
   Pur essendo difficile da confermare scientificamente, l’umanità percepiva (in alcuni casi forse “sapeva”, vista la recente controversia sulla ExxonMobil) da tempo che qualcosa non andava con l’evoluzione del clima terrestre.

Un famoso detto di Jean Monnet1 si applica con intensità variabile a tutti e quattro gli esempi, ma ci sono altri due pensieri che bisogna considerare nell’interpretare la nostra riluttanza nel risolvere problemi che hanno un impatto solo in un futuro non prossimo: la consapevolezza delle nostre stesse limitazioni temporali2, e la verità che in fondo ne sappiamo poco di tutto3.

E così:
   Gli “anni successivi” sono venuti e passati con la velocità di un torrente sotto un ponte ma io sono sempre lo stesso, avendo perso l’opportunità di redimermi per aver cercato di comportarmi come un “buon” genitore.
   Con gli investimenti azionari si continua a cercare l’impossibile, e ad ignorare il fatto che non acquistiamo pezzi di carta che vanno su e giù di prezzo ogni secondo, ma vere e proprie partecipazioni in società o economie che abbiamo studiato e che ci piacciono. La pazienza è una virtù, e sicuramente vale molto di più di quanto siamo coscienti.
   Se Reagan avesse avuto le proverbiali palle (o fosse rimasto sveglio durante la riunione decisiva) di affrontare politicamente il soggetto pensioni, oggi non solo non dovremmo preoccuparci di come milioni di persone sopravvivranno in vecchiaia, ma avremmo anche usufruito di un buon esempio per salvare l’Europa e l’Asia dalla stessa fine. Nonostante la relativa certezza e la calcolabilità del rischio siamo tutti sempre appollaiati sul ponte sopra il torrente, immobili come statue.
   E sul clima, che dire? Certo che l’umanità dev’essere molto convinta dell’immortalità dell’anima per fregarsene spudoratamente tanto a lungo di questo problema. Vero, la scienza ci è arrivata con una certa chiarezza solo di recente. Vero anche che il peso per la soluzione cade geopoliticamente in modo sproporzionato: meno pesantemente sui i paesi sviluppati, più su quelli in via di sviluppo. Ma come nel caso del fumo e della salute dei polmoni, possibile che nessuno sia riuscito a metter insieme una certa intuizione? C’è qualcuno che abbia letto “The limits to Growth” del 1972 (Club of Rome), a parte Elon Musk?

Parafrasando Churchill, mai così poche mosse con così poche variabili avrebbero evitato così tanti problemi.

 

Note (con traduzioni maccheroniche): 1. “People only accept change when they are faced with necessity, and only recognize necessity when a crisis is upon them.” Jean Monnet; Le persone accettano un cambiamento solo quando si trovano di fronte ad una necessità, e riconoscono la necessità solo quando confrontati da una crisi.   2. “In the long run we are all dead.” John Maynard Keynes; Nel lungo termine saremo tutti morti.   3. (“[…] there are known knowns; […] there are known unknowns; […] there are also unknown unknowns.” Donald Rumsfeld; Ci sono cose che sappiamo di conoscere; ci sono cose che sappiamo di non conoscere; e ci sono anche cose che non sappiamo di non conoscere.

Photo sources: Davide Frisoni, mostra di pittura “Riflessioni temporali”, Rimini, 2015