Risposta a due articoli di Beppe Scienza su pensioni e TFR

Beppe Scienza è un matematico che si occupa di investimenti. Il suo lavoro di educazione finanziaria è encomiabile, con diversi articoli in cui mette in guardia i risparmiatori dalle criticità del risparmio gestito e dei fondi pensione. Concordo spesso con quello che scrive, ma due dei suoi ultimi articoli usciti sul Fatto Quotidiano non mi hanno convinto.

Nel primo si parla dei contributi previdenziali versati all’INPS che, ad oggi, non possono essere investiti altrove. Per Beppe Scienza questa è una buona cosa, perché altrimenti finirebbero nei fondi pensione. La nota dolente dell’INPS, a mio avviso, sono i bassi rendimenti. Nel quinquennio 2014-2018 i rendimenti INPS sono stati pari allo 0.33% annuo contro il 2.62% della previdenza complementare. Non si tratta di un evento eccezionale, come sostiene Beppe Scienza, dovuto alla discesa dei tassi di interesse e della conseguente salita delle quotazioni delle obbligazioni di cui i fondi pensione sono pieni. I rendimenti INPS sono, per legge, pari all’aumento nominale del PIL italiano. E’ questo il motivo per cui sono così bassi. Sperare che in futuro possano risalire è al momento alquanto ottimistico. Ci fosse la possibilità di investire i propri contributi previdenziali su altro piuttosto che sul PIL italiano, non sarebbe una brutta cosa.

Il secondo articolo parla di TFR e sostiene che mantenerlo in azienda non presenta aspetti negativi né preoccupanti, in quanto è garantito e rivalutato dallo Stato. Tutto giusto, ma quanto rende il TFR in azienda? Per legge l’1.5% annuo più tre quarti dell’inflazione. Tradotto in numeri, il TFR in azienda ha reso il 2.5% annuo dal 2000 oppure del 2.8% annuo se lo si calcola dal 1990. I rendimenti sono al lordo dell’inflazione, che all’inizio degli anni ’90 galoppava a ritmi del 5-6%. Siamo sicuri che non ci siano possibilità migliori? Nel trentennio 1987-2017 un investimento obbligazionario ha reso il 5% annuo, un bilanciato il 7% e un azionario l’8% (i dettagli sono qui). Piccolo dettaglio, i rendimenti sono al netto dell’inflazione, quindi enormemente superiori a quello del TFR.

In entrambi i casi i rendimenti offerti dall’INPS e dal TFR in azienda, benché certi e che ti proteggono dall’inflazione (almeno finché lo Stato avrà soldi da spendere, poi magari i rendimenti saranno rivisti al ribasso e le garanzie ridotte), sono molto bassi. Altre soluzioni permettono di ottenere rendimenti più alti. Non vedo perché sia meglio accontentarsi piuttosto che investire nei mercati ed ottenere di più. Attenzione però alla scelta del fondo pensione: per i fondi pensione aperti e i Piani Individuali Pensionistici i costi sono troppo alti, a tal punto che annullano il vantaggio fiscale (ne avevamo parlato qui). I fondi pensione chiusi o di categoria, invece, possono essere una valida alternativa.

Sostituire un pregiudizio (quello secondo cui i fondi pensione ed il risparmio gestito siano la miglior soluzione) con un altro pregiudizio (stare alla larga da tutto), non è mai una buona cosa in generale. In questo caso non fa bene ai risparmiatori che si vedono precluse delle opportunità per avere pensioni più alte.

Riccardo Stucchi, 23 luglio 2019

Cover: https://medium.com/indian-thoughts/crossroads-of-life-352525cdad7b